L’attivazione della modalità incognito nel browser Chrome potrebbe non garantire l’impedimento a Google di raccogliere i dati degli utenti. Questa teoria è emersa nel contesto di una class action del 2020, in cui un gruppo di utenti ha chiesto un risarcimento di 5 miliardi di dollari all’azienda di Mountain View. Nel 2021, il giudice Lucy Koh del tribunale distrettuale di San Jose, in California, ha stabilito che Google dovesse affrontare la causa.
Google ha richiesto una valutazione accelerata del caso, ma questa è stata negata di recente dalla giudice Yvonne Gonzalez Rogers, che ritiene che la questione richieda un dibattito giudiziario. Pertanto, si avvicina la prospettiva di un processo, a meno che le parti coinvolte non raggiungano un accordo extragiudiziale.
Secondo Google, la schermata di avvio della modalità Incognito spiega chiaramente le implicazioni: pur non salvando i dati di attività sul browser o sul dispositivo, i siti web potrebbero comunque accedere a tali informazioni. Tuttavia, secondo la giudice Yvonne Gonzalez Rogers, questa spiegazione non è sufficiente.
La società afferma con determinazione che queste accuse sono infondate e che intende difendersi con fermezza. La modalità incognito di Chrome offre agli utenti la possibilità di navigare su Internet senza che l’attività sia memorizzata sul browser o sul dispositivo. Sebbene i siti web possano raccogliere informazioni durante la sessione, questa informazione viene chiaramente comunicata ogni volta che si apre una nuova scheda in modalità incognito. – José Castañeda, portavoce di Google
Tuttavia, le accuse rivolte a Google superano la questione della presunta confusione riguardo alla privacy di Chrome. I querelanti sostengono di possedere prove che dimostrano come Google “memorizzi i dati di navigazione regolare e privata degli utenti nello stesso registro, utilizzando questi dati combinati per inviare annunci personalizzati agli utenti. Anche se i dati raccolti sono anonimi, quando vengono aggregati, Google può usarli per identificare un utente univoco con alta precisione”.
Google sottolinea che i querelanti non hanno subito danni economici, ma la giudice ha un punto di vista differente: “i querelanti hanno dimostrato che esiste un mercato per i loro dati di navigazione e la presunta raccolta clandestina dei dati da parte di Google ha limitato la loro capacità di partecipare a questo mercato”. Infine, considerando la natura sensibile dei dati, il giudice ritiene che una semplice multa non sia sufficiente: “è necessaria un’ingiunzione per affrontare la continua raccolta dei dati di navigazione privata degli utenti da parte di Google“.